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LEGGERE — il Blog di Roberto Cerri

Roberto Cerri

ROBERTO CERRI - Spunti ed opinioni del Direttore della Biblioteca Gronchi di Pontedera su libri, lettura, biblioteche, educazione permanente e su come tutte queste cose costituiscano una faccia importante dello sviluppo delle comunità.

​Elogio della nanoeditoria

di Roberto Cerri - domenica 30 agosto 2015 ore 07:30

Nell'epoca delle nanotecnologie ovviamente non poteva mancare anche la nanoeditoria. Ma, almeno per il momento, non si tratta di libri che attraverso microcircuiti e micromemorie possono essere sparati, letti e assimilati direttamente dal cervello come se fossero molecole di zucchero intelligenti in grado entrare nel circuito delle conoscenze del lettore, che a quel punto proporrei di chiamare assimilettore. Non so se ci arriveremo mai a questo tipo di nanoeditoria assimilabile via neuroni. Ma se accadrà, spero di esserci e di goderne i benefici, anche se immagino che una rivoluzione del genere cambierà anche il ruolo ed il volto delle nostre biblioteche e questo, temo, mi piacerà assai di meno. 

No, per ora la nanoeditoria a cui mi riferisco, è quella delle piccole case editrici, spesso fatte da una sola persona, massimo due, e che opera con capitali minimi (visti i bassi costi di stampa, la distribuzione fai da te e la promozione quasi a costo zero via internet o via relazioni amicali). Sono queste case editrici microscopiche che costruiscono e portano avanti un'attività creativa che genera sicuramente cultura e valore quanto meno all'interno di un certo territorio. Naturalmente, se il nanoeditore è bravo, se ha l'intuizione giusta e magari se azzecca il libro giusto, beh, allora questo nanoeditore può trasformarsi anche in un piccolo editore e, col tempo, e con altri successi, anche in qualcosa di più. Ma con pochi capitali serve tanta bravura e davvero tanta tanta machiavellica fortuna. Solo uno su mille ce la fa ad uscire dallo stato microscopico da cui parte.

Da quello che si sa, il nanoeditore si muove soprattutto nell'ambito della memorialistica locale, tra i poeti (che sono tantissimi) e i potenziali scrittori di narrativa che non riescono a farsi pubblicare da piccole, medie e grandi case editrici, né hanno la capacità, l'abilità o la voglia di autopubblicarsi, di autopromuoversi e di autovendersi.

Minori rapporti,e molto più complessi, la nanoeditoria ha con la scienza e con la produzione editoriale a carattere scientifico, a meno che non sappia legarsi con qualche particolare istituzione scientifica per ragioni però che poco hanno a che fare con l'editoria scientifica in senso stretto, e sono invece per lo più riconducibili alla condivisione di specifiche battaglie culturali (ad es. quelle ecologiche). A volte la nanoeditoria sostiene novità scientifiche (talvolta solo "presunte") che faticano a farsi riconoscere dal pubblico o anche solo dall'Accademia. In questo caso la nanoeditoria può essere utilissima per dare visibilità ad idee che il mondo scientifico ufficiale ignora o addirittura combatte. Ma va precisato che la nanoeditoria può anche diventare un veicolo per diffondere idee strampalate se non addirittura pericolose, non avendo spesso al proprio interno risorse per monitorare la qualità scientifica del proprio pubblicato. In questo caso comunque, trattandosi di nanoeditoria, anche i danni, come i guadagni, dovrebbero rimanere circoscritti.

Infine la nanoeditoria si è mossa e si muove alla corte delle istituzioni locali: banche, fondazioni, comuni, regioni, vescovati, camere di commercio, ecc. ecc. Tradizionalmente tutti questi enti hanno sostenuto tipografie e stamperie locali. Queste ultime oltre agli avvisi per le manifestazioni religiose e i manifesti per le cerimonie pubbliche e le adunanze consiliari, hanno sempre stampato anche le più importanti omelie dei vescovi, i bilanci comunali e le giustificazioni che li accompagnano, gli statuti delle associazioni, nonché opuscoli celebrativi o polemici di vario genere. Anche i tipografi dell'800 e del '900 insomma erano nanoeditori. 

E ancora oggi il fenomeno continua, sia pure ridimensionato dalla crisi economica che costringe tutte le istituzioni a restringere il budget da assegnare al proprio narcisismo comunicativo. Si tratta spesso di un'editoria apologetica, commemorativa, celebrativa, promozionale, ma, come nel caso delle strenne annuali finanziate delle banche e dalle fondazioni, talora non priva di un rilevante valore culturale. Certo molte di queste pubblicazioni sono oggetti da tenere come soprammonili o da destinare alla polvere di qualche scaffale in alto nella libreria di casa, più che da leggere o da consultare. E spesso questi volumi circolano solo perché vengono "regalati". Ma, come direbbero alcuni miei amici nanoeditori, intanto queste opere vedono la luce, danno da mangiare a qualche stampatore editore e ...fissano il punto o lo stato delle conoscenze su quella tale istituzione, a beneficio, forse, di storici e di eruditi del futuro che questi testi leggeranno e utilizzeranno per scrivere altri libri.

Quanto ai sistemi di circolazione dei volumi nanoediti, qui si va nell'esoterico, si scende nel segreto professionale e si sfocia in una miriade di soluzioni che non è possibile riassumere. Dirò solo da bibliotecario che la nanoeditoria non è facilmente reperibile per una biblioteca civica che pure avrebbe il dovere di raccogliere tutto ciò che si pubblica sul suo territorio. A molti nanoeditori non interessa essere conservati per l'eternità. E forse hanno ragione loro.

Riassumendo. Anche la nanoeditoria recita un ruolo, muove l'economia e crea un pò di nanolavoro. Con pochi capitali e tanta intelligenza, arricchisce i lettori e, con qualche difficoltà, le biblioteche. Un pò meno i nanoeditori, che però essendo nanoeditori non possono aspettarsi maxistipendi e nemmeno maxi riconoscimenti. Ma questo, per fortuna, loro lo sanno. 

Roberto Cerri

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