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sabato 13 dicembre 2025

DISINCANTATO — il Blog di Adolfo Santoro

Adolfo Santoro

Vivo all’Elba ed ho lavorato per più di 40 anni come psichiatra; dal 1991 al 2017 sono stato primario e dirigente di secondo livello. Dal 2017 sono in pensione e ho continuato a ricevere persone in crisi alla ricerca della propria autenticità. Ho tenuto numerosi gruppi ed ho preso in carico individualmente e con la famiglia persone anche con problematiche psicosomatiche (cancro, malattie autoimmuni, allergie, cefalee, ipertensione arteriosa, fibromialgia) o con problematiche nevrotiche o psicotiche. Da anni ascolto le persone in crisi gratuitamente perché ritengo che c’è un limite all’avidità.

​La propaganda bellica nostrana vs l’hasbarà dei sionisti

di Adolfo Santoro - sabato 13 dicembre 2025 ore 08:00

Se il Presidente del Consiglio concede un’intervista a Mentana (che non approfondisce nessuna delle affermazioni di uno sproloquio elettorale), se viene negata la sala per una conferenza a professori universitari (Orsini, D’Orsi o Canfora), se cautamente il Ministro della Difesa evoca la necessità di una leva (mentre, più schiettamente, il generale francese Generale Fabien Mandon, ad una riunione di Sindaci, ha detto: Se il nostro Paese vacilla perché non è pronto ad accettare di perdere i propri figli, diciamo le cose come stanno …), tutto questo rientra in un quadro complessivo di propaganda bellica che, più o meno consapevolmente, utilizza i meccanismi collaudati nella pubblicità. La guerra, insomma, è un qualsiasi prodotto da vendere agli acquirenti attraverso meccanismi di ipnosi!

Propongo allora un esame – perdonatemi se è un po’ noioso, mentre vedere dal vivo gli attori è più esilarante - dei meccanismi cognitivi ben documentati che influenzano la percezione pubblica nei contesti di guerra.

Ci sono anzi tutto i bias cognitivi che facilitano l’accettazione della guerra e che comprendono

1. l’ostilità verso l’Altro (outgroup hostility) attraverso le narrazioni che accentuano la minaccia dell’altro gruppo, enfatizzano differenze culturali/valoriali, semplificano l’avversario come blocco monolitico; questa ostilità è studiata dai sociologi esaminando il priming dell’identità nazionale analizzando, ad esempio, l’esposizione di simboli patriottici che aumenta il sostegno della popolazione a misure dure oppure gli insulti e le metafore nei media, come virus, barbari, aggressori;

2. l’aumento del sostegno al governo (rally-round-the-flag effect) che i più sprovveduti, pur avendo criticato il governo, nei momenti percepiti come pericolosi voltano la gabbana; questi pavidi sono studiati dal trend della fiducia politica, anche con studi trasversali, prima, dopo e durante la crisi;

3. il messaggio se non vinciamo, perdiamo tutto (zero-sum thinking), per cui la cooperazione/negoziazione diventa impossibile; si studia attraverso l’analisi dei sotto-messaggi a somma zero e attraverso questionari che testano la correlazione tra percezione di minaccia e tolleranza per la diplomazia;

4. la normalizzazione del rischio, per cui l’esposizione quotidiana a retoriche belliciste può rendere normali misure drastiche; è studiata attraverso l’analisi longitudinale sull’accettazione pubblica dell’uso della forza e sulla misurazione di soglie di indignazione o shock.

C’è poi la costruzione dell’identità collettiva in tempi di guerra, per cui la propaganda non lavora solo sul nemico, ma anche su chi siamo noi attraverso

1. il presentare la guerra come test dell’identità nazionale (national identity priming), che è studiato attraverso l’analisi del discorso politico di termini come noi, nostri valori, spirito nazionale e attraverso l’analisi semantica dei discorsi dei leader;

2. il presentare il sacrificio come dovere morale, per cui si dice che l’economia di guerra richiede l’accettazione di costi, tasse, restrizioni; viene così attivata una retorica morale: se non contribuisci, tradisci la comunità; si studia attraverso l’analisi dei frame morali (sacrificio, purezza, lealtà, presenti in strumenti come Moral Foundations Theory) e indagando la percezione della diserzione/dissenso;

3. il sottolineare il consolidare l’identità attraverso il trauma: la sofferenza del proprio gruppo viene narrata come prova di resilienza collettiva; si studia attraverso l’analisi dei media su narrazioni di vittimizzazione, le interviste qualitative a cittadini in zone di conflitto e l’osservazione delle commemorazioni e dei rituali pubblici.

Un altro passo è lo studio empirico delle tecniche di propaganda, che avviene attraverso:

1. l’analisi di immagini e video, che hanno un maggiore impatto emotivo rispetto alle parole; vengono codificate le emozioni suscitate (ad esempio, attraverso il Fear Appeal Coding) e viene studiata la frequenza di immagini di donne e bambini usate per rafforzare la percezione di minaccia morale;

2. l’analisi del fatto che gli attori politici e mediatici non dicono cosa pensare, ma su cosa pensare (agenda setting); si studia attraverso il confronto dei topic model dei media e i sondaggi su come le persone valutano le priorità nazionali e attraverso l’analisi delle finestre temporali tra annunci governativi e i picchi di copertura mediatica;

3. l’analisi della prevalenza della propaganda negativa (demonizzazione del nemico) vs positiva (idealizzazione del proprio gruppo: eroismo, progresso tecnologico, missione morale); si effettua attraverso la classificazione automatica dei testi con strumenti di elaborazione del linguaggio naturale-NLP (sentiment analysis, stance detection) e la misurazione dell’effetto sulle posizioni politiche tramite esperimenti controllati.

Un quarto passo è lo studio dei media digitali e delle emozioni collettive, che comprende

1. lo studio delle dinamiche virali, per cui i contenuti che suscitano forte indignazione o paura hanno maggior diffusione; si effettua attraverso l’analisi di network (Twitter/X, TikTok, Telegram) e la misurazione della polarizzazione tramite il raggruppamento (clustering) di utenze;

2. lo studio dei dati comportamentali usati da attori politici o da media per mandare messaggi personalizzati (micro-targetting); si effettua attraverso audit indipendenti delle piattaforme (laddove disponibili), l’esame dell’effetto dei messaggi (reverse engineering) dopo che sono stati inviati e l’analisi geografica o demografica delle campagne online;

3. la valutazione del contagio emozionale di paura e indignazione, che si diffondono attraverso reti sociali; si effettua attraverso i modelli epidemiologici applicati alle emozioni e lo studio delle reazioni a catena dopo eventi chiave (bombardamenti, attentati, minacce percepite).

L’ultimo passo (particolarmente interessante per le élites di guerra) è l’interazione tra psicologia, propaganda e industria bellica, per cui generare paura ed attaccamento ad un’identità favorisce il consenso, che favorisce la spesa militare, che favorisce il potere delle élites economiche e politiche; questo processo è studiato analizzando le correlazioni tra eventi propagandistici e nuove decisioni di spesa, il dibattito parlamentare prima/dopo le campagne mediatiche e il comportamento degli opinionisti dei media

che producono scenari di minaccia e della loro diffusione nei media.

Ma i meccanismi di propaganda-pubblicità nostrani appaiono dilettanti rispetto alla costosissima macchina della propaganda di Israele, l’hasbarà, che letteralmente significa chiarimento, spiegazione, insomma consigli per gli acquisti. Il primo ad usare il termine hasbarà fu Nahum Sokolow, il giornalista ebreo trasferitosi in Inghilterra, che s’impegnò nell’ottenere il favore di politici e di ricchi ebrei inglesi perché aderissero al progetto sionista. Theodore Herzl, il fondatore ateo del sionismo, scriveva nel 1895: Cercheremo di far passare di nascosto la popolazione più povera oltre confine, procurando loro un impiego nei paesi di transito, ma negando loro qualsiai impiego nel nostro paese … Sia il processo di espropriazione che quello di allontanamento dei poveri devono essere realizzati con discrezione e circospezione ... Nel momento in cui il rimodellamento dell’opinione mondiale a nostro favore sarà completato, saremo saldamente stabiliti nel nostro paese. Nel 1899 comparve sul New York Times il resoconto di una conferenza in cui si chiedeva la rifondazione della Giudea come Stato indipendente suggerendo l’acquisto del sito dei Maccabei in Palestina. Nel 1918 la sezione londinese dello Zionist organisation pubblicò un opuscolo intitolato The Jewish colonisation of Palestine in cui si poteva leggere il nobile ideale del sionismo: la ricostruzione della patria nazionale del popolo ebraico nel paese dei loro avi. Yosef Weitz, poi diventato autorevole esponente della politica agraria israeliana, scriveva nel suo Diario degli anni ’30 dello scorso secolo: Tra noi deve essere chiaro che non c’è spazio per entrambi i popoli insieme in questo paese … non c’è altro modo che trasferire gli Arabi da qui ai paesi vicini, trasferirli tutti; non una sola tribù dovrebbe essere lasciata …

Il sionismo è un movimento ideologico già presente nelle speranze messianiche presenti nell’ebraismo e nel cristianesimo: nacque dai teologi protestanti del 1600, che credevano che il ritorno degli ebrei in Terra Santa fosse un evento che avrebbe preceduto la Seconda Venuta di Cristo; questa visione è ancora presente oggi in alcuni cristiani evangelici degli USA. Un’altra radice storica che ha alimentato questa ideologia balzana è stata la credenza della continuità delle crociate e della liberazione del Santo Sepolcro. Ma, fin dall’inizio – come si può facilmente comprendere dalle frasi di Herzl, su riportate – il sionismo aveva già in sé l’idea razzista della sostituzione etnica morbida: i soldi potevano comprare una patria per chi non ha patria a scapito di chi una patria già ce l’ha, ma non ha soldi. Il sionismo morbido era, dunque, danaroso, laico, colto, ammantato da un’ideologia socialista: era proprio del ceppo ashkenazita, cioè degli ebrei russi e tedeschi, che avevano mescolato i loro geni con popoli europei, tanto da esprimere fenotipicamente capelli biondi e occhi azzurri, e che poi si erano trasferiti negli USA diventando una lobby potentissima. Ma alcuni fatti portarono alla modificazione sostanziale dello Stato di Israele dopo la vittoria-lampo nella guerra dei sei giorni del 1967:

1) Israele divenne uno stato di guerra specializzato nel combattere e nell’espandersi su più fonti attraverso la colonizzazione violenta;

2) l’immigrazione verso Israele dei ricchi ashkenaziti, predicata dai padri fondatori di Israele, si inceppò, per cui fu favorita l’immigrazione di un altro ceppo di ebrei, i mizrahi, che, sparsi in Asia e in Africa, avevano mantenuto i caratteri somatici degli ebrei originari e con essi anche le credenze e la liturgia originaria dell’ebraismo: i mizrahi sono attualmente in Israele il 45% contro il 30% degli ashkenaziti;

3) il fallimento del welfare laburista ha fatto sì che un gruppo di religiosi estremisti della Cisgiordania cominciasse a predicare l’avvento dei tempi della realizzazione della Grande Israele e, in un paio di generazioni, il sionismo violento e teocratico si è impadronito, come dice lo storico israeliano Ilan Pappé, degli strati più poveri della società ebraico-israeliana, in particolare tra la seconda e la terza generazione di ebrei nordafricani che vivevano nei quartieri degradati delle grandi città e nelle tristemente note “città di sviluppo” israeliane, prive di adeguate strutture di sviluppo economiche e educative. Queste persone furono facilmente reclutate in quell’ideologia; il loro stile di vita era già piuttosto tradizionale e molto più religioso rispetto a quello degli ebrei laici ... Oggi hanno un ruolo di comando nella polizia, nell’esercito e nei servizi segreti … è anche una nuova generazione che ha ricevuto un’educazione nazional-religiosa …, un sistema educativo che forma giovani razzisti, teocratici nel modo in cui concepiscono la democrazia, e profondamente devoti al sogno sionista;

4) la sostituzione etnica, sempre più violenta, ha favorito la reazione palestinese, che si è espressa in fenomeni terroristici di frange estreme;

5) l’ashkenazita Netanyahu, anche per difendersi dalle conseguenze dell’incriminazione per corruzione, si è alleato col sionismo religiosamente integralista, tanto da arrivare alla modificazione della Costituzione nel 2018, che nega la multietnicità della Terra indebitamente occupata da Israele e tanto da esprimere il negazionismo mediatico proprio dell’hasbarà: a Gaza non c’è fame, le foto dei bambini denutriti sono manipolate o mostrano gli effetti di malattie rare, tutti i giornalisti di Gaza sono al soldo di Hamas, i terroristi fanno incetta del cibo e banchettano nei tunnel, i tredicimila dipendenti dell’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa) sono tutti membri di Hamas, negli ospedali di Gaza si nascondono i terroristi, i medici e gli infermieri sono terroristi, l’esercito israeliano è il più morale al mondo, il numero delle vittime civili a Gaza, in proporzione ai combattenti uccisi, è inferiore a quello di altre guerre, i dodici giorni di guerra contro l’Iran sono essenziali per la sopravvivenza di Israele e così via.

Il fallimento dell’hasbarà, riconosciuto dallo stesso Trump, è ben sintetizzato dal testo della canzone Definisci bambino, autoprodotta con l’Intelligenza Artificiale e diffusa sul web da sconosciuti:

È sera in Italia, in salotto lo schermo è acceso.

Un talk show, un comico, un ebreo medico … contradditorio sospeso … (…)

E poi quella frase che rompe il confine “Definisci bambino”, dice lui, “sì, cos’è?”.

E allora, definisci il suo sorriso, definisci il suo dolore,

definisci il suo futuro che non sarà più la sua innocenza spezzata con un drone,

definisci bambino, dillo tu, perché qui nessuno lo sa!

Nel frattempo l’hasbarà ha continuato la sua azione: il comico Iachetti è stato denunciato dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane per incitamento all’odio. Nel frattempo il genocidio israeliano a Gaza e in Cisgiordania è continuato impunemente e la soluzione due popoli, due stati si dimostra solo un trucco propagandistico, al livello della hasbarà, se non si prendono le misure di embargo e di restrizione commerciale. Nel frattempo fanno parte del Transatlantic Friends of Israel, oltre adesponenti dell’ultradestra italiana ed internazionale, anche qualche esponente del PD. Nel frattempo l’ex-segretario del PD Fassino (quello che rubava, senza vergogna, ai duty free degli aeroporti), è andato al Parlamento israeliano con esponenti di Lega e Forza Italia ed ha affermato quello che emerge chiaramente è che Israele è una società aperta, una società libera, una società che anche in questi due anni ha una dialettica democratica dimenticando che il deputato comunista Ofer Cassif è stato espulso dal Parlamento israeliano quando ricordava a codesto Parlamento le parole di David Grossman a proposito del genocidio il genocidio democratico, insomma. Nel frattempo un altro del PD, Del Rio, sempre equiparando antisemitismo e antisionismo, ha presentato un disegno di legge teso a limitare la presenza sui network di contenuti anti-sionisti … c’è paura di perdere le elezioni, ma non la faccia di essere umano!

E allora, definisci un bambino!

Adolfo Santoro

Articoli dal Blog “Disincantato” di Adolfo Santoro