Teoria dell’offesa
di Nicolò Stella - domenica 28 novembre 2021 ore 07:30
Tutte le storie che cerco di scrivere sono storie vere. Almeno per chi le legge. Vi sono storie regolari e storie irregolari o anomale come questa che sto per raccontare. Non è un racconto vero e proprio, in quanto parla genericamente della teoria dell’offesa.
La lingua italiana si presta all’ambiguità. Accade così che una parola pronunciata in diversi contesti ovvero profferita diversificando la tonalità e la gestualità, dia risultati diversi. Ad esempio se si pronuncia la parola “sbirri”, al plurale questa deve necessariamente intendersi spregiativamente. Può invece, avere un contenuto di ammirazione qualora sia pronunciata al singolare, in quanto contiene un vasto ventaglio di qualità che vengono riconosciute a un professionista dell’indagine, alla sua astuzia, alla sua capacità di acquisire conoscenze, all’istinto, al fiuto e alla sua caparbietà. Pertanto “sbirro” non definisce solo un mestiere, ma anche e soprattutto il modo positivo di farlo.
Cosa avrà pensato il poliziotto penitenziario di Volterra che dopo avere obbligato un detenuto a interpretare una norma di comportamento interno in maniera inflessibile come prevedeva il regolamento, si è sentito apostrofare con l’appellativo: “cornuto, sbirro e carabiniere”. E da quali dubbi giuridici è stato pervaso il Giudice del Tribunale di Pontedera che ha dovuto emettere la condanna, sentenziando che anche il termine “carabiniere” doveva essere considerato un’offesa, in quanto sorto in ambito malavitoso dove la parola “carabiniere” é intesa come un’offesa in quanto sta ad indicare una persona rigida, troppo rispettosa delle leggi e regolamenti, e quindi non incline a sottostare a compromessi.
L’episodio di Volterra mi fa ricordare un vecchio film del cineasta siciliano Franco Maresco. Nel suo lungometraggio “Belluscone. Una storia siciliana” oltre a intervistare sul medesimo argomento i fratelli Lavecchia, pone delle domande anche a Ciccio Mira, sostenitore reticente dei vecchi valori mafiosi. A quest’ultimo, domanda: “se a lei dicessero, sei un carabiniere!”. Ciccio Mira risponde che nessuno glielo può dire perché sicuramente reagirebbe male. Poi spiega: “i Carabinieri, non sono come la polizia, è una cosa a parte ... sono più permalosi... più... sai la polizia a volte ti considera... a volte, magari non ti prende una multa... no... ti considera. Il Carabiniere no... il Carabiniere è Carabiniere...”
Nell’ultimo decennio le offese perlopiù provengono dai cosiddetti odiatori seriali da tastiera. Ecco il commento di una insegnante di Novara che dopo avere letto dell’assassinio di un Carabiniere, sulla sua bacheca di fecebook, scriveva: “uno di meno, e chiaramente con un sguardo poco intelligente, non ne sentiremo la mancanza.” Non è valso nemmeno il suo ravvedimento, disposta perfino ad offendere se stessa: ”ho scritto una cavolata, sono stata una stupida” a evitargli una condanna a otto mesi di reclusione.
Sembrano fatti che succedono lontano da noi ma non è proprio così, perché i diffamatori seriali si nascondono in ogni dove, anche qui in Valdera. Come quell’impiegato dell’USL che, ritenendo di essere stato ingiustamente colpito da misura cautelare, iniziava a offendere l’investigatore con l’appellativo di “mafioso, malfattore e colluso”, pubblicando i così detti “post” sulla sua bacheca di “facebook”. Al processo sono stati chiamati a testimoniare tutti coloro che, avevano cliccato il “like” ovvero la mano con con il pollice in su e pertanto confermando di avere letto le offese e in qualche modo anche approvate, rischiando anche loro una denuncia per non parlare poi di quel malcapitato che ha avuto la malaugurata idea di condividere il post rendendolo visibile sulla sua bacheca lo rendeva visibile ad un altro imprecisato numero di persone. Entrambi sono stati processati e condannati. Il primo, l’ex impiegato, soggiorna sempre in una struttura penitenziaria.
Nicolò Stella
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