Libano a 10 anni dalla battaglia di Bint Jbeil
di Alfredo De Girolamo e Enrico Catassi - martedì 26 luglio 2016 ore 12:12
Galilea. Collina di Yir'on. Alzando gli occhi a Nord compare il villaggio di Maroun el Ras con i suoi minareti. La terra è brulla, una pietraia desolata, qualche olivo dalla grande volta e un reticolato quasi impercettibile che corre lungo il confine tra Israele e Libano. Dove regna la calma apparente dieci anni fa, a pochi chilometri di distanza, ebbe luogo la battaglia di Bint Jbeil, che divenne il simbolo della Seconda Guerra del Libano, la “Guerra d'estate”.
Nessuno udì lo scoppio il 12 luglio del 2006 quando un gruppo armato dei guerriglieri del "partito di Dio" infiltratosi oltre le linee prese d'assalto una pattuglia di blindati israeliani, catturando due soldati. Nulla lasciò presagire l'inizio di un conflitto, pareva una schermaglia di confine tra due stati ostili. Ma dopo il catastrofico tentativo di liberare i propri militari prese piede una vera e propria offensiva contro Beirut. In risposta da Haifa a Metulla, dal Mediterraneo alle pendici del Golan arrivarono i razzi libanesi. Una guerra etichettata asimmetrica ma pur sempre una guerra. Arroccati tra le rocce e le case di Bint Jbeil qualche decina di cecchini sciiti aveva preso posizione, mentre centinaia e centinaia di uomini della fanteria israeliana venivano ammassati nel vicino kibbutz di Avivim. Intanto l'aviazione e l'artiglieria di Gerusalemme colpivano duramente senza tuttavia scalfire le postazioni nemiche.
I mezzi cingolati con la bandiera di Davide furono i primi ad entrare in azione e incontrare non poche difficoltà tra aree minate e un fitto lancio di missili anticarro, risultando lenti e inadatti a quel tipo di scontro. Neppure i sofisticati Merkava disegnati per operare in quella morfologia di terreno furono in grado di procedere nell'assedio del villaggio libanese. Alle prime ore del mattino del 26 luglio due compagnie del battaglione 51 della brigata Golani marciando durante la notte raggiunsero la periferia di Aynata. L'ordine perentorio era di entrare a Bint Jbeil. Dall'alto i droni e gli elicotteri avrebbero dovuto agevolare l'operazione, ma non fu così. Restarono testimoni oculari di quanto accadde. La trappola dei miliziani di Hezbollah scattò prendendo di sorpresa la terza compagnia, raggiunto un uliveto gli uomini sotto il comando di Roy Klein si trovarono stretti tra due fuochi, senza via di scampo. Per trarre in salvo gli uomini di Tzahal ci vollero ore, tra le file israeliane si contarono otto perdite. I cadaveri vennero recuperati da un battaglione di commilitoni al calar delle tenebre.
La bandiera giallo-verde con la scritta in arabo inneggiante ad Allah era ancora al suo posto nel centro della piazza del villaggio. Passarono dieci giorni prima che, per un breve periodo, gli israeliani riuscissero a prendere il controllo completo di Bint Jbeil e issassero a sventolare i propri colori prima di ripiegare. Quella che era stata eletta a capitale meridionale dello stato degli Hezbollah guidato da Hassan Nasrallah era caduta, ma a quel punto poca importava il cessate il fuoco era prossimo. Sul piano tattico la battaglia era stato uno scontro irrilevante, su quello mediatico invece divenne una Waterloo. Che molti forzatamente lessero come un trionfante successo per Hezbollah e una amara sconfitta per uno dei più efficienti eserciti al mondo.
A Bint Jbeil la storia insegna non c'è stata vittoria per nessuno. Alla fine da una parte si contarono gli eroi e dall'altra i martiri. Le salme dei due soldati israeliani catturati il 12 luglio fecero rientro a casa due anni dopo. L'arrogante supponenza dei vertici militari, il cinismo di politici e religiosi dei due paesi è nel disastro di quella crudele e insensata battaglia: “urla disperate di aiuto”, “corpi a brandelli” e “sangue ovunque” Ecco cosa ricorda chi c'era e paga il prezzo di continuare a vivere in un terribile incubo, una ferita mentale che non si rimargina. Bint Jbeil rimane un monumento all'inutilità della guerra.
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Alfredo De Girolamo e Enrico Catassi