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lunedì 02 dicembre 2024

RACCOLTE & PAESAGGI — il Blog di Marco Celati

Marco Celati

MARCO CELATI vive e lavora in Valdera. Ama scrivere e dipingere e si definisce così: “Non sono un poeta, ma solo uno che scrive poesie. Non sono nemmeno uno scrittore, ma solo uno che scrive”.

Scrivi

di Marco Celati - lunedì 28 agosto 2023 ore 08:00

“Scrivi mi dico, odia/ chi con dolcezza guida al niente/ gli uomini e le donne che con te si accompagnano/ e credono di non sapere. Fra quelli dei nemici/ scrivi anche il tuo nome”. Diamine! Questo senz’altro, ci mancherebbe: siamo sempre noi i più grandi nemici di noi stessi. Scrivi mi dicono dunque: rendici i tuoi ricordi, come un dovere. Lo dicono a fin di bene: tanti ricordi sedimentati fanno una memoria collettiva e personalmente avrei anche qualcosa da giustificare, da cui redimermi, ammesso fosse possibile. Facciamo bene e male e non è nemmeno facile riconoscerne il discrimine. Il mio amico Ali, ottimo pugile nonché fervente musulmano, uno insomma che picchia e prega forte, mi ripete che il nostro destino è nelle mani di Dio. Anzi, lui dice addirittura, nella sua volontà. Ma aggiunge che nessuno può fermarti se decidi di lottare per realizzare un sogno. E così, insh’allah! In genere i credenti come lui, quanto a libero arbitrio sono un po’ a debito. In compenso danno molto credito al fatalismo. Ma c’è un bel proverbio senegalese che dice, in lingua wolof, "nit nitay garabam" e significa “l'uomo è la cura dell'uomo”. E io rispetto ogni credente. I cristiani, dal canto loro, sostengono che “Dio è abbastanza grande da fare una vocazione anche dei nostri errori” e la buttano più sul misericordioso, sulla redenzione. Ma pure sulla determinazione dei talenti, come da parabola evangelica. Ok. Ci sarebbe solo il dettaglio che non sono credente, ma Dio esistendo, nella sua infinita benevolenza spero comprenderà. Se invece non esiste, niente. Come non detto. In ogni caso credere, o rispettare chi crede, darà valore alla vita. E le fedi sono varie, e non solo religiose. Anche a confidare nell’uomo e nel futuro, di questi tempi specie, ci vuole un surplus di dedizione e di coraggio.

Maurizio Costanzo, l’inventore nostrano dell’informazione di intrattenimento o dell’intrattenimento di informazione, il talk show televisivo, diceva che non ricordare serve a stupirsi ogni volta che ci si rivede e a non commemorarsi e che per lui la sfida più grande era quella di domani. Non male per un ultra ottantenne! Sulla prima parte delle sue affermazioni personalmente, per quel che vale, in linea di massima concordo. Anzi, alla volontà di non commemorarsi potrei aggiungere, per quanto mi riguarda, quella di non commiserarsi, ma va bene. Sul domani invece sarebbe da ricordare la lezione del Magnifico Lorenzo, quando scriveva quanto fosse bella giovinezza che si fugge tuttavia e chi vuol esser lieto, sia, di doman non c’è certezza. E se ciò vale per la giovinezza, figuriamoci per la vecchiezza! Solo la poetessa Achmatova sosteneva che non esiste la vecchiezza e forse nemmeno la morte. Che non è vero, ma lei parlava del sacro mestiere della poesia. Alla fine anche Costanzo ci ha lasciato. Ma sarà ricordato, perché il ricordo, per la verità o qualcosa di simile al vero, starebbe agli altri, non a sé stessi: la memoria non essendo un presuntuoso e interessato Cicero pro domo sua. E poi sennò gli “storici” che ci stanno a fare? E sempre sul domani, come non rifarsi al carpe diem, quam minimum credula postero di Orazio, perenne e inarrivabile struggimento letterario e scolastico, nonché esistenziale di tante giovani generazioni? Cogli il giorno, affida meno che puoi al futuro. Che, insomma, ancora poesia a parte, per il futuro sarebbe anche da dirci, a proposito di giovani generazioni. Ma tant’è.

“Oggi non ho memoria, in questo sogno/ che sono di me stesso, di quando volli essere io/…In altro mondo, dove la volontà è legge,/ liberamente ho scelto quella vita/ con la quale dapprima entrai in questo mondo./ Libero, vi rimasi ostaggio e la riscattai/ col prezzo delle vite successive/ di cui è causa, e dio; e tali esistenze,/ essendo quel che fui, saranno chi sarò”. Forse ha ragione l’enigmatico Pessoa: alla fine saremo chi siamo stati o chi ci siamo inventati di essere. E anche chi siamo dovuti o potuti essere. Ma soprattutto saremo la nostra discendenza, quelli che verranno dopo di noi a ricordare un nome, un fatto, un amore.

A volte cammino per strada, qualcuno mi vede, mi manda a quel paese. Un altro mi saluta, mi chiama per nome, si ferma, ringrazia, vuol sapere qualcosa, una spiegazione. Ma io gli dico, scusa non so di cosa stai parlando, sono qui con le mie buste della spesa, lo vedi, sto scappando. Guarda che non sono io quello che mi somiglia, l’angelo a piedi nudi o il diavolo in bottiglia, il vagabondo sul vagone, la pace fra gli ulivi e la rivoluzione. Guarda che non sono io quello che stai cercando, quello che conosce il tempo e che ti spiega il mondo. Se credi di conoscermi non è un problema mio, guarda come sta piovendo, guarda che ti stai bagnando, guarda che ti stai sbagliando, guarda che non sono io. Poi mi accorgo di essere finito in una canzone di De Gregori. Anzi, di essere quella canzone. Sulla strada. Davanti alla Coop. E piove! Che, detto così, sembra più “Frankenstein Junior”.

Scrivi, mi dico e mi dicono, ma non so se ce la faccio. Scrivere mi piace, ma non mi viene facile. Oltre quelle quattro poesie in croce che conosco e tutto il resto che so di non sapere. E non c’entra Socrate, credetemi, è solo sana e irrimediabile ignoranza. “A volte guardo le persone e non ci trovo niente di attraente, io vedo il peggio nelle persone, mi basta uno sguardo per capire chi sono, il mio livello di odio si è innalzato”. Lo dice il grande Daniel Day-Lewis nel drammatico film “Il petroliere”. E forse rappresentazione e interpretazione sono emblematiche. È il nostro urgente riscatto pensare a fonti energetiche e condotte esistenziali alternative, che non rovinino Terra e umanità.

Gli amici sono quelli che restano. Pochi, qualcuno si è avviato giù per la discesa, quelli che restano dopo il declino. "L’amicizia vale poco quando è un vantaggio", “John Wick 4”: s’impara, soprattutto dai peggiori. A noi resta comunque il declino. Notte di Ferragosto: afa, poche stelle e nuvole viola. Sembra una canzone. La classica burrasca di mezza estate sarebbe andata meglio. La natura è troppo debole o troppo forte per noi. Alla fine scriverò, magari sotto falso nome o sotto tortura. Oppure no, non lo farò. Forse per una sorta di pigrizia o di resa agli eventi, ai tempi cupi, indifferenti e al mondo, come va e non va. E poi la memoria indisciplinata si perde, si confonde e io ormai, poco o niente ricordo: affetti, mancanze, sconfitte. Dettagli, cose minori. Che forse non sono minori. E forse va bene così.

Marco Celati

Pontedera, Agosto 2023

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I riferimenti, oltre alle citazioni letterarie, canore e cinematografiche, sono: per la poesia iniziale, Franco Fortini, “Traducendo Brecht” e, per l’amico Ali, il raffigurato “Mi chiamo Mouhamed Ali” di Rita Coruzzi e Mouhamed Ali Ndiaye. Il virgolettato che si riferisce ai cristiani è di Emmanuel Mounier, filosofo francese, esponente del personalismo comunitario, insieme a Jaques Maritain uno dei massimi esponenti del cattolicesimo politicamente impegnato. Sosteneva il valore spirituale, insostituibile della persona nell’universo delle persone, la grandezza e piccolezza, l’equivalente dignità di universo di ogni persona e che le persone sono più numerose delle stelle. Onestamente non lo conosco, ma ne ho letto nel sito online “gesuiti.it”. Solo per dire che non mi sono inventato niente.

“Guarda che non sono io”, da “Sulla strada”, è di Francesco De Gregori.

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Marco Celati

Articoli dal Blog “Raccolte & Paesaggi” di Marco Celati