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lunedì 02 dicembre 2024

PENSIERI DELLA DOMENICA — il Blog di Libero Venturi

Libero Venturi

Libero Venturi è un pensionato del pubblico impiego, con trascorsi istituzionali, che non ha trovato niente di meglio che mettersi a scrivere anche lui, infoltendo la fitta schiera degli scrittori -o sedicenti tali- a scapito di quella, sparuta, dei lettori. Toscano, valderopiteco e pontederese, cerca in qualche modo, anche se inutilmente, di ingannare il cazzo di tempo che sembra non passare mai, ma alla fine manca, nonché la vita, gli altri e, in fondo, anche se stesso.

DIZIONARIO MINIMO: ​Una notte buia e tempestosa

di Libero Venturi - domenica 17 dicembre 2017 ore 08:00

A Pablo e Camillo

Dunque, era una notte buia e tempestosa. Che come incipit, ammetto, è alquanto sfruttato. Insomma scrivere è un lavoro duro, anzi per dirla in pisano, è un lavorone, un mestieraccio. E allora saltiamolo pure l’incipit. Come l’avessi fatto. Comunque notte era notte e, per essere buia, era buia, non s’è mai vista a queste latitudini una notte che non fosse buia. Tempestosa, insomma: se n’é viste di meglio, ma se n’è viste anche di peggio. Lo disse anche ad una mia amica sua madre, quando lei le chiese: mamma come sto con il vestito nuovo? Anzi, glielo disse al contrario: se n’è viste di peggio, ma anche di meglio. Ancora più incoraggiante. Ah, le mamme! Pioveva forte davvero, qualche tuono brontolava nella notte rischiarata da bagliori lontani. Se si può chiamare tempesta, questa era. Gli uomini tendono a drammatizzare, quanto a sottovalutare le cose. Gli scrittori o presunti tali, poi non ne parliamo.

Guarda come piove, speriamo che non venga giù la collina, se no domattina ci ritroviamo a valle! È tardi, che ci fai ancora alla finestra? Mi piace guardare la pioggia ed i lampi, la burrasca si avvicina. È bello anche sotto le coperte, accosta gli scurini, ho i piedi gelati, viemmeli a scaldare, dai!Impossibile, è più facile scaldarti il cuore. E te comincia da quello, poi si vede. Eccomi, senti come scroscia la pioggia sul tetto, sembra di stare in un’arca in mezzo al diluvio. Lo sento, spengi la luce, vieni qui.

Non è solo l’amore, che è sempre l’amore, è che, specie se piove in una notte di burrasca, è bello avere una casa ed un cuore accanto al tuo da scaldare. E poi, non meno burrascosa è la vita.

Oste della malora, tira più su ‘sto cazzo di saracinesca, se no mi spacco il groppone! Non fare casino, è notte, smetti di battere, ah, sei te, entra, sbrigati, ributto giù, sono in chiusura. Si vedeva la luce sotto, lo sapevo che c’eravate, piove come dio la manda, tuoni, lampi e vento di bufera! Vieni, bufera, che prendi? Ciao ragazzi, come va, prendo un caffè, tanto non dormo. Ho già spento la macchina. Allora un amaro, ma non tanto amaro, amara è la vita. Che hai? Ma niente, mi girano, ad architettura non si combina una sega, mi sa che smetto e poi la politica, il lavoro, la famiglia, voialtri due? Io ho l’ultimo esame di chimica, un po’ fuori corso, finisco questo vinello e torno a studiare, faccio nottata, era meglio se anch’io prendevo biologia, a quest’ora ero laureato come lui. Io gliel’avevo detto, si studiava insieme come quando s’andava a scuola a Livorno, faccio già supplenze, educazione scientifica, domattina ho lezione, l’ultima speata al toscano e vado. Ragazzi, appena ho finito di sistemare il banco, se non ve ne andate davvero chiamo la celere. Si va, si va, bevo l’amaro, non rompere che ti facciamo compagnia, barista solitario, senti come viene giù!

Non era un bar, che era solo un bar, era che si stava lì fuori del tempo con gli amici, senza donne, per far passare le notti d’estate e quelle di bufera. E anche la vita e gli amici si perdono mentre passano stagioni e bufere. E pure le donne.

Le tempeste sono evocative, portano pensieri che suggeriscono parole da raccogliere prima di dimenticare. La pioggia batte sulla strada della città di notte. Le auto scorrono con i fari accesi sotto i lampioni che tagliano il buio. Un colpo secco: una saetta squarcia il cielo. Difficile scrivere: sul tavolo di cucina è saltato il gatto, mi morde, vuol giocare. Gli lancio il peluche e lo riporta come un cane. Me lo contende con le unghie e i denti. Io lo tiro a me e poi lo lascio vincere, mollo la presa. Se ne va soddisfatto con in bocca la preda. Torno a scrivere. Arriva un messaggio di mio figlio: è morto uno dei loro gattini, Camillo.

L’hanno arrotato. L'abbiamo trovato sulla strada, abbiamo fatto una corsa dal veterinario che l'ha messo sotto osservazione perché aveva un trauma cranico e non ci poteva fare molto. Ha lottato per quanto ha potuto, ma alla fine si è arreso. Era il più magrolino di due fratelli tigrati, il fratello, Giovedì, ora è mogio. Tempo fa se ne era andato Pablo, un bel soriano, forse ammazzato da un un colpo di qualcuno o da un auto anche lui.

“Porto sventure a chi bene mi vuole”. Gli uomini fanno così con i loro simili e con le bestie che si avvicinano a loro. Farebbero meglio a starci lontano. Mio figlio e la sua ragazza amano i gatti e danno loro nomi di persone, di artisti o di giorni. Forse compensano carenze di affetti o forse hanno ancora più amore da dare. Così in questa notte di pioggia e di tempesta, dal freddo e dal buio mi giunge a distanza il loro dolore in forma di emoticon triste, con una grossa lacrima. Come un pianto silenzioso. “Fu in quel dolore che a me venne l’amor”. Si potesse tornare ad essere buoni! Ho abbracciato il mio gatto che per tutta risposta mi ha morso e graffiato, ma piano come a dire, ti avverto, non insistere con queste eccessive effusioni. Poi è saltato sulla finestra, dietro il vetro osservava la pioggia. Spaventato da un tuono è scappato a rintanarsi sotto il mobile di sala, ma poco dopo è tornato sul davanzale. Non solo l’uomo, anche la curiosità li uccide, quelli della sua specie. Guarda fuori, punta le macchine che, incuranti, attraversano lo spazio ed il tempo e chissà cos’altro vede nell’oscurità, in fondo alla notte buia e tempestosa

Libero Venturi

Pontedera, 17 Dicembre 2017

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Le frasi virgolettate sono tratte dall’aria “La mamma morta” dell’opera “Andrea Chenier” di Umberto Giordano, su libretto di Luigi Illica.

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